Sto seguendo con interesse gli sviluppi del cosiddetto impact investment, l’investimento che mira ad un ritorno sia economico che di beneficio sociale. In Italia se ne parla poco, anche se i primi prodotti sono già sul mercato. Il World Economic Forum se n’è occupato da poco e a fine anno si sono tenuti i primi incontri della task force voluta dal premier inglese Cameron in seno al G8, dove è presente la Commissione Europea e noi italiani siamo rappresentati da tre professionisti di alta caratura.
In questa prima fase, la task force sta valutando lo stato dell’arte e creando un vocabolario comune di obbiettivi e metriche. Siamo solo agli inizi: si sta cercando di imparare dal settore privato, per formare un sistema omogeneo in grado di facilitare l’imprenditore, ad esempio con i Social Investment Bonds o con la detassazione, come già succede proprio in Gran Bretagna. Anche in Italia le grandi banche stanno sperimentando con i primi fondi, con emissioni di obbligazioni sociali e competizioni dedicate all’innovazione sociale.
L’investimento d’impatto è una delle sfide più gratificanti per la finanza di oggi, ancora segnata dagli eccessi che hanno portato alla grande crisi: il suo ruolo centrale per la società è innegabile. Ora è il momento di impegnarsi per farlo diventare a somma positiva. Sono in gioco gli stessi valori dello Stato sociale, che da un lato deve affrontare le difficoltà di bilancio e dall’altro aprirsi al futuro senza perdere il ruolo di garante del bene comune.