OPEN SOURCE: JEREMY RIFKIN E L’ARTE CONTEMPORANEA

Ne “La società a costo marginale zero” Jeremy Rifkin sostiene che si stia affermando sulla scena mondiale un nuovo paradigma economico, destinato a schiudere la possibilità di una drastica riduzione delle disparità di reddito, democratizzando l’economia globale. Un’economia collaborativa meno votata al profitto a ogni costo, in cui gli artisti hanno un ruolo prezioso: e lo indaga il Financial Times raccontando di una mostra – intitolata Open Source: art at the end of capitalism, da poco terminata a Berlino e Parigi – curata da Lisa Schiff, Leslie Fritz ed Eugenio Re Rebaudengo, e ispirata proprio dal volume di Rifkin.

Gli artisti presenti? Nelle parole di Lisa Schiff “Cercano di scrollarsi di dosso l’eccesso di autoreferenzialità classico dell’arte contemporanea e vogliono costruire ponti verso l’esterno, e hanno capito che il mondo sta cambiando ogni minuto davanti agli occhi”. Insomma, prendendo le mosse da un libro tutto sommato ottimista come quello di Rifkin, che indica la strada per un futuro migliore e propone soluzioni andando oltre il lamento, anche l’arte ha qualcosa da dire. E Lisa Schiff ha applicato questa ricetta per smentire i critici che quel tipo di arte, quella contemporanea, la considerano vuota, incapace di raccontarci qualcosa sul mondo in cui viviamo. Il tutto grazie alle opere di artisti affermati come Richard Prince, Frank Stella, Christopher Wool e altri giovani emergenti.

E Rifkin? Pare abbia apprezzato molto, dichiarandosi piacevolmente sorpreso. Malgrado l’arte non sia il suo campo, riconosce il ruolo di avanguardia degli artisti: sono le nostre antenne puntate verso il futuro.