Categories: Filosofia

Le sei killer app dell’Occidente

Quest’inverno durante una cena a New York a casa di Tina Brown, ho conosciuto Niall Ferguson, un importante storico e scrittore britannico (per la precisione è scozzese) molto noto grazie alle sue tesi sempre piuttosto controverse.

Così ho letto il suo ultimo (discusso) libro, Civilization: the West and the Rest. Secondo l’autore l’Occidente ha imposto la sua supremazia culturale e politica grazie a un pacchetto di sei “killer application” (Ferguson dichiara di rivolgersi a ragazzi di 16-17 anni e pertanto utilizza un linguaggio volutamente attuale): competizione, scienza, proprietà, medicina moderna, consumi, etica del lavoro. Pacchetto che l’Occidente ha sempre detenuto in esclusiva, mentre oggi, nell’era della globalizzazione, sembra non godere più di questo vantaggio.

Quello che ci dipinge Ferguson è uno scenario preoccupante: non diversamente da quello che accadde all’impero romano, anche l’Occidente moderno sarebbe ormai entrato in una profonda crisi, che è prima di tutto una crisi di identità. Secondo l’autore noi occidentali abbiamo perso fiducia nel modello che per secoli ci ha garantito una posizione di supremazia nel mondo, mentre altri, in altre parti del pianeta, sembrano riuscire a fare un uso migliore del patrimonio che l’Occidente ha esportato durante il suo lungo e incontrastato predominio. La Cina, per esempio, ha abbracciato il capitalismo e corre oggi a ritmi di crescita invidiabili; Iran e India hanno raggiunto un livello scientifico pari a quello occidentale, e così via.

Com’era inevitabile, queste tesi hanno scatenato un acceso dibattito. In particolare, lo scrittore indiano Mishra Pankaj ha rimproverato a Ferguson di dimenticare il ruolo giocato dagli arabi nello sviluppo della scienza moderna, oltre che di essere troppo indulgente verso le violenze e le forme di dominio attraverso le quali la supremazia dell’Occidente si è esercitata per secoli. Non ho competenze “tecniche” per entrare nel merito, ma voglio farlo lo stesso per condividere quello che, dal mio osservatorio di imprenditore, non può che essere un punto di vista diverso. Mi sembra evidente infatti che, agli occhi di uno storico quale Ferguson, quando una civiltà ha raggiunto l’apice del proprio potere e conquistato un’incontrastata supremazia, sia ragionevole pensare che stia per esaurire la propria spinta e cominci così a declinare.

Ma questa non è la fase storica che stiamo vivendo. Come imprenditore, infatti, mi alzo ogni giorno per dimostrare che è possibile guardare anche alle profonde trasformazioni che hanno toccato il nostro mondo come a un’importante opportunità innanzitutto di rinnovamento e quindi di ripresa della crescita. È dalla nostra apertura verso le sfide dell’oggi che dipende la nostra capacità di progettare il domani. E questo probabilmente lo coglie in modo più concreto un imprenditore di uno storico.

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