Categories: Filosofia

Istruzione: non lasciamo tutto uguale per principio

Ho recentemente letto su La Repubblica un articolo sul tema dell’istruzione scolastica. Il pezzo prendeva spunto da una richiesta di un’associazione di genitori francesi, secondo cui i compiti a casa non dovrebbero più essere assegnati; a questa è seguita una presa di posizione del ministro Francesco Profumo, che si è detto disponibile a una riduzione del carico di lavoro per i nostri ragazzi.

La questione è complessa. Ai ragionamenti di carattere pedagogico su quale sia il metodo di insegnamento più adatto si sommano quelli di natura sociale ed economica. Secondo alcuni, lo studio a casa estremizza le differenze tra chi può permettersi di pagare ripetizioni private e chi invece deve arrangiarsi da solo. Ma soprattutto viene chiamato in causa il ruolo dei genitori, combattuti fra la poca presenza in casa e il desiderio di assistere, aiutare, a volte sostituirsi ai figli nello studio. E ancora: serve ancora, oggi, tradurre dal greco e dal latino? E, se serve, siamo sicuri che la tentazione di trovare la traduzione su internet non prevalga sul senso del dovere?

Insomma, quello dei compiti a casa promette di essere un tema molto più vasto e articolato di quanto potrebbe apparire a prima vista, tanto da impegnare legioni di insegnanti, pedagoghi, studiosi di vario tipo. Sullo sfondo, una domanda che riguarda tutti, a tutti i livelli, e che appassiona anche me – e non solo perché ho tre figli in età scolastica: a che cosa serve oggi la scuola?

A trasmettere conoscenze, a mantenere in vita saperi e tradizioni culturali? A insegnare ai giovani a stare al mondo, a relazionarsi con gli altri, a essere cittadini responsabili e maturi? Oppure lo scopo dell’istruzione scolastica è quello di fornire alle nuove generazioni tutti gli strumenti per potersi orientare in un mercato del lavoro sempre più difficile e competitivo?

È facile rispondere che la scuola serve a tutte queste cose. L’importante è che la formula sappia essere all’altezza dei tempi e della società in cui viviamo. Come ho già scritto in un altro post, il mio sospetto (e la mia paura) non è che esista un nuovo che di per sé è meglio del vecchio. È che si continui ad adottare un vecchio per pigrizia, per passività, perché “era già lì”, perché “si è sempre fatto così”. In molti paesi – Italia compresa – molte cose sono ferme da decenni, perché “si è sempre fatto così”. Mi auguro che questo metodo della conservazione a priori tramonti in tutti i campi. Magari proprio a partire dalla scuola, visto che è lì che si costruiscono le generazioni del futuro.

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