Il profitto fa bene (e fa funzionare l’Africa)

18/05/2012

Economia



Si è molto parlato di Mohammad Yunus, economista e banchiere bengalese premio Nobel per la Pace nel 2006. Con la sua Grameen Bank ha consentito a milioni di persone di intraprendere una piccola attività economica e di uscire, così, dalla povertà. È la dimostrazione che il lavoro e il profitto possono essere la chiave di volta per migliorare la qualità della vita delle persone.

La pensa in modo ancora più estremo Dambisa Moyo, africana (è nata in Zambia), dottorato a Oxford e oggi presidente della Indo-Zambia Bank, che ha scritto un libro molto interessante intitolato La carità che uccide. Al centro della sua tesi c’è una forte critica agli aiuti economici che vengono elargiti ai paesi in via di sviluppo e che, nell’Africa subsahariana, hanno raggiunto il 15% del Pil. Secondo l’autrice, questa forma di elemosina internazionale può spesso dimostrarsi tutt’altro che virtuosa, contribuendo per certi aspetti a rafforzare regimi dispotici, a creare legami di dipendenza e a scoraggiare l’iniziativa individuale.

Come alternativa la Moyo propone una ricetta che sappia combinare crescita economica e sviluppo sociale, e che si incentri su quattro principali fonti di finanziamento: l’emissione di obbligazioni sul mercato internazionale dei capitali; l’incentivazione degli investimenti stranieri su larga scala nelle infrastrutture; una capillare strategia di microfinanziamenti; la liberalizzazione del mercato dei prodotti agricoli.

È un argomento che si collega direttamente all’operazione Africa works, lanciata da Benetton Group nel 2008 a sostegno del progetto di microcredito Birima, di Youssou’n Dour. Ma anche una riflessione più ampia e “filosofica” sul fatto che il modello occidentale basato sul lavoro, il profitto, l’impresa capitalistica, è – pur con molte imperfezioni – un potente veicolo di sviluppo economico e sociale.