Facoltà umanistiche: calano gli iscritti, ci rimettiamo tutti

26/07/2013

Filosofia



La crisi economica produce molti effetti. Alcuni sono più visibili – recessione, imprese che chiudono, disoccupazione a livelli insostenibili soprattutto tra i giovani, nuove idee imprenditoriali che non riescono a nascere – altri meno. Anch’essi, tuttavia, contribuiscono, magari più silenziosamente, all’impoverimento generale della nostra società.

Il netto calo delle immatricolazioni nelle facoltà umanistiche di tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Europa, fa parte di questi ultimi effetti: in particolare in Italia, patria dell’Umanesimo, in dieci anni gli iscritti sono calati quasi del 30%. La crisi sta colpendo quei percorsi di studio che sono colpevolmente poco valorizzati dal mercato del lavoro, ma che spesso garantiscono apertura mentale, flessibilità e creatività non solo allo studente, ma anche al futuro lavoratore e, più in generale, alla società nella quale viviamo tutti.

Come ho già avuto modo di osservare in un precedente post, trovo che la crisi delle humanities rappresenti un rischio per le nostre società. Non si tratta soltanto di conservare una millenaria tradizione di cultura e conoscenze: c’è in gioco la nostra possibilità di essere, attraverso quella cultura, cittadini maturi e responsabili, consapevoli della nostra storia, della nostra identità, oltre che della complessità del mondo, in tutte le sue sfumature.

Nel caso dell’Italia, poi, il dato che attesta il declino della cultura umanistica è ancora più triste, perché va di pari passo con una generale sottovalutazione del nostro immenso patrimonio artistico-culturale, una risorsa anche economica e dal valore incalcolabile che – al contrario di quanto sembra avvenire – dovremmo tornare a mettere in cima alle nostre priorità.