SCOTT TIMBERG E IL FUTURO DELLA CLASSE CREATIVA

05/05/2015

Economia



C’è un saggio molto interessante, si intitola “Culture Crash: the killing of the creative class” lo firma il giornalista statunitense Scott Timberg, ed è uscito a gennaio di quest’anno per la Yale University Press. Timberg prova a esplorare il futuro della classe media creativa, dell’arte, degli artisti, un segmento della società che da anni non vive un periodo esattamente prospero, anzi. Ma il futuro?

In uno scenario di scomparsa diffusa della classe creativa, Timberg teorizza che nel medio e lungo periodo a lavorare nel mondo della cultura e dell’arte sarà solo chi potrà farlo senza che gli sia corrisposto alcun compenso. Insomma: lo farà come un hobby, forse di lusso. La conseguenza? Un impoverimento culturale generalizzato, destinato a nuocere a tutti.

Pensiamo allo scrittore solitario, al poeta, al pittore un po’ eccentrico: sono la nostra coscienza, sono, per riprendere una metafora dell’autore “i canarini nella miniera”. Avvertono prima i mutamenti, e senza di loro perderemmo qualcosa di fondamentale per orientarci. Alcuni dei numeri raccolti da Timberg nel suo saggio per quel che riguardfa il mercato del lavoro US mostrano uno scenario impietoso: dal 2008 a oggi, nastro di partenza della crisi del pianeta, nel settore del graphic design si sono persi il 19,8% dei lavori, nel settore della fotografia il 25,6%, nel settore dell’architettura il 29,8%.

Le fosche previsioni di Timberg hanno raccolto commenti sulle più importanti testate globali, ma è sul Guardian che ho trovato una delle critiche che per me hanno colto nel segno. John Kampfner infatti ha chiosato che in fondo imprenditorialità, cultura, mondo dell’arte, non sono affatto nemiche: e non c’è mai stato come oggi un mondo infinito di possibilità per i creators, a patto che siano capaci di instillare un po’ di spirito d’impresa in quello che fanno.