L’ho sempre pensato: studiare filosofia ci fa bene, e quei benefici poi li possiamo vedere e apprezzare anche in altri ambiti della vita. È quello che una ricerca britannica di cui ho letto sul Guardian ha dimostrato: per un anno circa 3000 alunni di 48 primary school – l’equivalente delle nostre elementari – sono stati coinvolti in attività apparentemente poco “tradizionali” per una classe di quell’età. Per esempio con dibattiti filosofici condotti dai bambini – di età compresa tra gli otto e gli undici anni – e moderati dagli insegnanti su temi anche non facili come il bullismo, o sul significato profondo di parole sulla quali anche noi adulti vacilliamo a dare definizione precise, come giustizia.
Sia gli insegnanti che gli alunni sostengono che queste attività abbiano portato a un miglioramento del comportamento della classe, oltre che delle relazioni tra i compagni di classe. Ma non solo, anche la fiducia in se stessi dei ragazzi è aumentata, così come l’abilità di parlare in pubblico, la capacità di ascoltare e di immedesimarsi nelle posizioni degli altri. E anche un piccolo dettaglio, visto che secondo alcuni insegnanti ora i ragazzi fanno più domande. Avrete certamente nei ricordi anche voi qualche insegnante che al termine della spiegazione domandava alla classe “C’è qualche domanda?”, senza di solito ottenerne. Ecco una buona soluzione.
Il dato che però ha colpito più di altri i ricercatori che hanno organizzato la sperimentazione, è l’aumentata abilità dei ragazzi in materie solo apparentemente lontane dalla filosofia, come la matematica o la letteratura. Al solito, la migliore risposta a chi sostiene che in fondo lo studio della filosofia tra i banchi di scuola non serva a nulla.
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