Oggi sembra prevalere l’idea che per affermarsi occorra essere brillanti, estroversi, simpatici a ogni costo. Hanno successo le persone egocentriche, istrioniche, capaci di vendersi in modo sfrontato, e talvolta fuori luogo. La campagna elettorale appena conclusa, con le sue urla, le esagerazioni e i toni accesi, è stata l’ennesima dimostrazione di questa convinzione diffusa.
Personalmente, sono sempre stato dell’avviso opposto. Rispetto a un atteggiamento esibizionistico, infatti, ne ho sempre preferito uno più discreto, pacato, più basato sul dialogo, ma non per questo meno efficace.
Sembra pensarla così anche Susan Cain, che ha scritto Quiet. The Power of Introverts in a World that Can’t Stop Talking, di cui ho da poco letto una recensione. Secondo l’autrice, sono stati gli “introversi” a scrivere le pagine più importanti della storia. Isaac Newton, Albert Einstein, Chopin, Marcel Proust, ma anche Gandhi, Bill Gates, Madre Teresa: “giganti” che hanno cambiato il mondo, ma che nella vita sono stati, o sono ancora, persone tranquille e riservate, talvolta schive, addirittura goffe e impacciate.
Un’ovvietà, apparentemente. Eppure, forse a causa della spettacolarizzazione a tutti i costi cui siamo abituati, tendiamo a dimenticarci che il talento, il più delle volte, non si misura né con gli applausi né con le ovazioni. E che, di tanto in tanto, sarebbe salutare tornare a valutare le persone per quello che fanno, e non per quello che dicono.
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