Dalle primarie, una riflessione sull’età

14/12/2012

Filosofia



Il quadro politico italiano è in continua trasformazione, e già oggi le primarie che nelle ultime settimane si sono tenute in uno dei due principali schieramenti sembrano un ricordo lontano. Eppure se ne è parlato a lungo. Nel nostro Paese, infatti, le primarie costituiscono ancora una relativa novità, e, forse per la prima volta, in questo caso hanno realmente rappresentato un momento di confronto democratico tra idee e persone, che ha molto coinvolto e appassionato l’opinione pubblica.

Oggi, però, non voglio parlare di politica in senso stretto, né mi interessa esprimere una valutazione di merito sui candidati. Piuttosto vorrei mettere a fuoco un aspetto di cui si è parlato a più riprese nel corso della campagna elettorale e che mi ha molto colpito: l’età di uno dei partecipanti.

Ho letto più volte, infatti, che Matteo Renzi – che alla fine è uscito sconfitto – non sarebbe stato adatto a guidare la sua coalizione (ed eventualmente il Paese) perché troppo giovane. Un argomento che considero insostenibile, tanto più se si tiene conto del triste primato della classe dirigente italiana, la più vecchia d’Europa.

A 37 anni si è adulti. Se si è bravi, si è già bravi. Se non si è bravi, forse non lo si sarà mai. Ci lamentiamo spesso del fatto che i giovani non solo faticano a entrare nel mondo del lavoro, ma poi vengono troppo a lungo considerati “giovani”, mentre le posizioni di potere sono saldamente occupate da una classe dirigente vecchia disposta a cedere autorità molto gradualmente. Allora, per coerenza, ribelliamoci all’idea che a 37 anni (ma anche prima) non si possa assumere una grande responsabilità.

Non vi sommergerò di esempi, da Mark Zuckerberg a Barack Obama. Preferisco ricordarvi che Robert Kennedy, una cui frase ispira il nome di questo blog, nel 1961 diventava ministro della Giustizia degli Stati Uniti, a 36 anni. Senza che l’America si sentisse per questo meno sicura.