Una lezione dalla crisi: ecco l’economia del fare

19/12/2013

Economia



Viviamo nella cosiddetta “era della conoscenza”, i cui assiomi sono: gli investimenti in produzione e trasmissione di informazioni crescono costantemente; i costi di fruizione delle informazioni stesse diminuiscono per le continue innovazioni tecnologiche. Il risultato è che abbiamo accesso a una quantità di dati e notizie inimmaginabile sino a pochi anni fa.

Il rovescio della medaglia è che troppe informazioni possono significare nessuna informazione, quindi nessuna decisione. Di fronte a un numero troppo elevato di variabili, diventa impossibile effettuare una scelta per chi vuole analizzarle tutte. Persino nei calcolatori più sofisticati il sovraccarico di dati provoca il crash down. E’ la cosiddetta paralysis by analysis. 

Chi fa impresa non può permetterselo. In un mondo in cui la velocità è diventata un fattore decisivo, aspettare di avere il quadro sotto controllo prima di passare all’execution può essere fatale. Pensiamo al 2008, quando è diventata conclamata una crisi sino ad allora latente. Tanti si sono fermati per osservare, analizzare, aspettare che passasse la tempesta perfetta. Ma la tempesta perfetta, purtroppo, non è passata.

Altri hanno cercato di trovare una via per mettersi al sicuro, posizionandosi in un luogo diverso da quello occupato sino ad allora. Sono state le aziende che, nonostante lo scenario fosse incerto, hanno agito, hanno fatto. E sono sopravvissute. Anzi, hanno ripreso a crescere. La lezione inesorabile della crisi è proprio questa: chi non ha fatto, si è perso.

Una lezione che avevo già fatto mia grazie al private equity. Nei 21 anni di storia di 21, Investimenti siamo entrati nel capitale e nella vita di decine di aziende. Portare discontinuità è diventata la base del mio modo di affrontare le sfide. L’analisi è fondamentale, certo. Ma è soprattutto attraverso il fare che si diventa detonatori dei cambiamenti. La comprensione razionale non basta, a guidare le scelte deve contribuire una miscela di fattori tra cui il coraggio, l’istinto, l’ascolto degli altri e l’attenzione. In breve, l’emotional intelligence di cui parlava Daniel Goleman che è dote indispensabile di ogni imprenditore.

Secondo Jeremy Rifkin e altri autorevoli economisti, l’economia della conoscenza è la terza rivoluzione industriale. Forse la quarta sarà proprio una nuova “economia del fare”.