La storia vera della Tequila

11/07/2017

Economia



Non sono un esperto di distillati. Ma una cosa la so: la tequila si sorseggia, come una grappa.

Scordatevi il rito di sale e lime e larve in fondo alla bottiglia. È – adesso ne ho una prova – un’invenzione dell’industria che, insieme alla Tequila, vuole dar da bere storie e tradizioni che hanno origine in vincenti strategie commerciali promosse nel tempo, ma mai realmente appartenute ai messicani.

Chantal Martineau, recensita da BBC, Financial Times e da quasi tutti i principali giornali americani, è un’esperta di food & spirits, e nel suo libro “How the Gringos Stole Tequila” racconta la storia vera e appassionante del più famoso distillato messicano. Niente muri ai confini fermano la tequila messicana che in Usa arriva a litri. Quella bevuta negli Stati Uniti corrisponde all’80% del mercato mondiale che complessivamente vale 6,7 miliardi di dollari e, le aziende, vedono il proprio fatturato in crescita del 140% all’anno secondo le stime riportate dal FT.

Per gli Usa quella del distillato messicano è una passione, è sinonimo di party e goliardia, sbornie difficili da smaltire.  Insieme al palato e la sbornia si sorseggia anche l’illusione di gustare un distillato della tradizione, la storia di un Paese, il Messico. La tequila distillata oggi è molto diversa dall’originale, che proviene dal Mezcal: metl, il nome indio dell’agave, considerata pianta divina.  I sacerdoti aztechi ne bevevano il succo fermentato prima di compiere sacrifici agli dei. Il Mezcal è un distillato di diversi tipi di agave, mentre la tequila, se pregiata, è di un tipo solo– quelle più industriali, invece diluiscono l’ingrediente principale con altri succedanei sintetici. L’agave blu o tequila, appunto: ricca di zuccheri, ma soprattutto a più rapida crescita, più facile da coltivare. Già: provate a fare una piantagione di agave. Gli arbusti hanno bisogno di anni per diventare maturi, mediamente 8 – 12 anni, ma alcuni ne impiegano anche 25. Non quella azzurra. Le antiche famiglie spagnole colonizzatrici, i Cuerzo e i Sauzo, già nel 1700 intuirono subito quale fosse la loro miniera d’oro: trasformarono il più rustico Mezcal in Tequila e poi cominciarono e venderlo nel mondo nella prima metà del 900. Un successo. Un distillato creato ad hoc, spesso un “mixto” con aggiunta di zuccheri, non potendo contare sulla varietà dell’originale prodotto autoctono. Ma questo secolare successo oggi lascia mano libera ai piccoli produttori autoctoni che proprio grazie alla globalizzazione possono raggiungere mercati più raffinati, oltre a quello americano per la gioia di chi desidera riscoprire nel bicchiere, oltre che a tavola, antiche tradizioni, i sapori e la storia di terre lontane. E ora, per assaporare la tradizione può trovarlo un buon Mezcal, distillato anche di decine di tipi di agave, cotte per giorni in forni speciali, dal sapore più rustico e affumicato. E niente postumi da smaltire.