La storia di Jibu, acqua potabile in franchising

26/01/2016

Economia



Arrivano da Colorado Springs, padre e figlio, Randy Welsch e Galen per portare accesso all’acqua potabile a quartieri più poveri dell’Africa occidentale e dar da bere acqua pulita a 4 milioni di persone in aree dell’Africa dove non esistono acquedotti. Ci hanno già provato diverse organizzazioni: negli ultimi vent’anni sono stati spesi 1,2-1,2 miliardi di dollari secondo le stime delle Nazioni Unite per progetti tesi a soddisfare il fabbisogno di acqua sana nel mondo. Ma almeno la metà di questi progetti fallisce nell’arco di due anni.

Padre e figlio di Colorado Springs ritengono che sia necessario cambiare approccio. Se s’investe per realizzare un acquedotto, ma poi non c’è nessuno in grado di provvedere alla manutenzione, quando questo si romperà o smetterà di funzionare, bisognerà ricominciare daccapo.

1 persona su 9 nel mondo è costretta a bere ogni giorno acqua contaminata, causa di 3,4 milioni di morti ogni anno. Un grave problema al quale padre e figlio Welsch hanno deciso di rispondere con Jibu, impresa fondata da loro nel 2012, perché se la beneficienza non può funzionare, è necessario un approccio diverso che coinvolga le persone dal basso. Jibu, che loro definiscono un franchising di business in scatola, ha un modello semplice: attraverso le loro sedi in Uganda e Ruanda forniscono agli aspiranti imprenditori locali un kit per la depurazione dell’acqua e l’imbottigliamento, uno spazio per la rivendita e supporto. Le bottiglie d’acqua vengono rivendute ad un costo decisamente più basso rispetto a quelle disponibili sul mercato locale, 0,90 dollari usa per 20 litri d’acqua. E le ricadute sociali sono evidenti. I Welsch puntano a coinvolgere le fasce di popolazione in maggiore disagio e l’obiettivo di avere almeno 50% dei franchisee donne, promuovendone così la loro emancipazione e sostenere gli introiti delle famiglie. Non solo, ma poiché il sistema di filtraggio evita la bollitura, si contrasta anche l’uso intensivo di combustibili di origine fossile, a tutto vantaggio dell’ambiente.

I Welsch hanno investito in tutto 30mila dollari e contano di arrivare a pareggio in 6 anni sfidando difficoltà di ogni tipo: la burocrazia, la ricerca di spazi adeguati per la rivendita, ottenere la certificazione dell’acqua dalle autorità locali e non ultimo la gestione di un network in un’area così vasta.

Senza fretta: due nuovi franchisee al mese sono sufficienti. L’importante è che alla fine ci sia da bere, per tutti.