Jesse Owens e Luz Long: un’amicizia “impossibile” nel segno dello sport

09/09/2013

Sport



Quando ho deciso di parlare di sport su questo blog, non l’ho fatto soltanto perché – come avrete capito – lo sport rappresenta una delle mie principali passioni, ma soprattutto perché, al di là di alcune degenerazioni – dal doping, al tifo violento, agli eccessi di agonismo a livello giovanile e altro di cui ho già parlato–, ho sempre pensato che fosse un veicolo di esempi e di valori positivi e di storie di grande umanità.

Molti conoscono Jesse Owens, l’atleta americano di colore che nel 1936 trionfò davanti a Hitler durante i giochi olimpici di Berlino, che il dittatore aveva concepito proprio come una rappresentazione della superiorità della razza bianca. Di recente ho scoperto da un amico un ulteriore retroscena che mi ha davvero colpito. Durante quei Giochi, gareggiava un atleta tedesco, Ludwig “Luz” Long, che nel salto in lungo avrebbe sfidato Owens. Long si accorse che Owens, distratto dalle batterie dei 200 metri – altra competizione a cui avrebbe gareggiato – aveva già infilato due salti nulli; così gli suggerì di staccare almeno una ventina di centimetri prima della linea di battuta, e posizionò una maglietta a fianco della pedana all’altezza del punto ideale di stacco. Owens ascoltò il consiglio del tutto inatteso proveniente dal rivale, si qualificò alla finale e poi vinse la medaglia d’oro: sotto lo sguardo di Adolf Hitler, il saltatore biondo fu il primo ad abbracciare il vincitore nero e a congratularsi con lui. L’amicizia fra i due sarebbe durata fino alla morte di Long, caduto durante la Seconda guerra mondiale, e unì per decenni le famiglie dei due atleti rivali e per di più su fronti opposti nel conflitto che di lì a poco sarebbe scoppiato.

È una piccola, grande storia. Che da un lato mostra una prospettiva poco conosciuta su un’epoca che, tra follie ideologiche e smodate ambizioni di dominio, stava preparando il terreno di una delle tragedie più atroci della storia dell’umanità. E che, dall’altro, offre un perfetto esempio dei valori fondanti dello sport: la lealtà della competizione, innanzitutto; e la capacità di separare sempre la giusta rivalità sportiva dall’inimicizia, quando non addirittura dall’odio. Valori che, pur in mezzo all’inferno di quegli anni, seppero esprimersi con forza. E che anche oggi mi sembrano di grande attualità.