Istruzione: non lasciamo tutto uguale per principio

20/04/2012

Filosofia



Ho recentemente letto su La Repubblica un articolo sul tema dell’istruzione scolastica. Il pezzo prendeva spunto da una richiesta di un’associazione di genitori francesi, secondo cui i compiti a casa non dovrebbero più essere assegnati; a questa è seguita una presa di posizione del ministro Francesco Profumo, che si è detto disponibile a una riduzione del carico di lavoro per i nostri ragazzi.

La questione è complessa. Ai ragionamenti di carattere pedagogico su quale sia il metodo di insegnamento più adatto si sommano quelli di natura sociale ed economica. Secondo alcuni, lo studio a casa estremizza le differenze tra chi può permettersi di pagare ripetizioni private e chi invece deve arrangiarsi da solo. Ma soprattutto viene chiamato in causa il ruolo dei genitori, combattuti fra la poca presenza in casa e il desiderio di assistere, aiutare, a volte sostituirsi ai figli nello studio. E ancora: serve ancora, oggi, tradurre dal greco e dal latino? E, se serve, siamo sicuri che la tentazione di trovare la traduzione su internet non prevalga sul senso del dovere?

Insomma, quello dei compiti a casa promette di essere un tema molto più vasto e articolato di quanto potrebbe apparire a prima vista, tanto da impegnare legioni di insegnanti, pedagoghi, studiosi di vario tipo. Sullo sfondo, una domanda che riguarda tutti, a tutti i livelli, e che appassiona anche me – e non solo perché ho tre figli in età scolastica: a che cosa serve oggi la scuola?

A trasmettere conoscenze, a mantenere in vita saperi e tradizioni culturali? A insegnare ai giovani a stare al mondo, a relazionarsi con gli altri, a essere cittadini responsabili e maturi? Oppure lo scopo dell’istruzione scolastica è quello di fornire alle nuove generazioni tutti gli strumenti per potersi orientare in un mercato del lavoro sempre più difficile e competitivo?

È facile rispondere che la scuola serve a tutte queste cose. L’importante è che la formula sappia essere all’altezza dei tempi e della società in cui viviamo. Come ho già scritto in un altro post, il mio sospetto (e la mia paura) non è che esista un nuovo che di per sé è meglio del vecchio. È che si continui ad adottare un vecchio per pigrizia, per passività, perché “era già lì”, perché “si è sempre fatto così”. In molti paesi – Italia compresa – molte cose sono ferme da decenni, perché “si è sempre fatto così”. Mi auguro che questo metodo della conservazione a priori tramonti in tutti i campi. Magari proprio a partire dalla scuola, visto che è lì che si costruiscono le generazioni del futuro.