Il Ruanda va in fuga (dal passato)

01/03/2012

Sport



Avevo da poco compiuto trent’anni quando, nel 1994, cominciò la guerra civile in Ruanda. Fu uno degli episodi più sanguinosi del ventesimo secolo e portò alla morte di oltre 800mila persone.

Oggi, diciotto anni dopo, le cose sono cambiate. Il Paese è riuscito a risollevarsi, anche grazie agli aiuti provenienti dagli stati occidentali, ed è protagonista di una crescita economica non da poco (all’interno dell’Index of economic freedom il Ruanda si piazza al 59esimo posto, contro il 92esimo dell’Italia, tanto per dire), dimostrata anche dai grandi progressi fatti a livello tecnologico.

Le differenze etniche che hanno diviso il Paese per molti anni non esistono più: non è importante se una persona appartiene al gruppo tutsi o hutu, le due etnie che si sono scontrate nel 1994. Ad esempio, Adrien e Gasore, due componenti della squadra nazionale di ciclismo, appartengono uno alla prima, l’altro alla seconda etnia.

Di loro parla questo interessante articolo che ho trovato su Newyorker, che vi consiglio di leggere. Racconta la storia di questo pittoresco team, guidato da un allenatore americano, che negli ultimi anni è riuscito a ottenere buoni risultati a livello continentale e si è affacciato alle grandi competizioni internazionali, avvicinando i connazionali a uno sport prima quasi sconosciuto.

Quella del Ruanda, quindi, è una storia che sembra avviata, se non a un lieto fine, almeno a un significativo miglioramento. Una storia che ci ricorda (lo sapete, è un mio “cavallo di battaglia”), quanto lo sport può fare non solo per gli sportivi, ma anche per i semplici cittadini.