Hippie chic, tra controcultura e stereotipi

30/09/2013

Arte Contemporanea



Poco dopo il mio recente viaggio a Boston, al Museum of Fine Arts si sarebbe inaugurata la mostra Hippie Chic, che con rammarico non sono riuscito a vedere: un percorso interattivo tra oltre 50 abiti degli anni Sessanta realizzati da firme tra cui Ossie Clark, Geoffrey Beene e Yves Saint Laurent e contraddistinti dagli elementi tipici di quegli anni: colori, patchwork, magliette tie-dye “a spirale” e gonne lunghe. E poi spazio per tappeti shag, occhiali tondi, collane colorate, fasce per capelli, luci rotanti e per un juke-box d’epoca con i dischi di artisti come Beatles, Grateful Dead, Doors e Jimi Hendrix.

Ho già parlato della contaminazione tra arte, moda, musica nei post su David Bowie e sul Punk, tema ricorrente nel linguaggio creativo contemporaneo, ma l’aspetto che mi colpisce della moda degli anni ’60 è il processo: al contrario di quanto succede oggi la ribellione espressa in quegli anni diventa ispirazione per l’haute couture. Lo esprime bene questa mostra, dove l’Hippie Chic, elevato ad arte, sembra uscire dagli stereotipi e esprimere ciò che aveva fortemente rappresentato negli anni della ribellione e della cultura pop, ossia quella controcultura, che ha cambiato il modo di vedere le cose.

Da questo punto di vista ogni citazione hippie nella moda contemporanea, e succede quasi ad ogni stagione, diventa un tiepido cliché di quegli anni rivoluzionari, cinici e idealisti.