Dopo il rigore, serve la crescita

07/12/2012

Economia



Tra le parole più pronunciate negli ultimi anni, c’è certamente “austerità”. E con essa, termini quali “rigore” e “risanamento”. Angel Gurrìa, il segretario generale dell’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e sviluppo economico, è un forte sostenitore dell’austerità. Più in generale, e in ottima compagnia, Gurrìa crede nell’opportunità di “sfruttare la crisi” per operare risanamenti che sono non solo necessari nel breve periodo, ma anche portatori di benefici nel lungo.

In un certo senso, questa visione è opposta a quella degli economisti da molti definiti “keynesiani”, che vedono nella spesa pubblica un propulsore alla crescita piuttosto che una minaccia ai conti pubblici. Il Premio Nobel Paul Krugman, che ne è il capofila, nel suo ultimo libro cita proprio Keynes: “The boom, not the slump, is the time for austerity”.

La mia opinione è che non esistano ricette valide universalmente, sempre e comunque. Ogni situazione presenta le sue specificità e la storia non si ripete mai identica. Certo il rigore è una necessità per quei paesi che, negli ultimi decenni, hanno vissuto al disopra dei loro mezzi. In alcuni casi può essere l’unico strumento capace di ristabilire una credibilità a chi governa.

Tuttavia il rigore è una medicina amara che, a lungo andare, può dimostrarsi controproducente e avere effetti negativi non solo sulla crescita, ma anche, paradossalmente, sullo stesso debito pubblico. È quindi indispensabile, anche quando si somministrano cure necessarie, non perdere mai di vista l’obiettivo di un rilancio complessivo dell’economia.