Che cosa ci dice il “Protester”, personaggio dell’anno

20/12/2011

Economia



Sono trascorsi ormai più di tre mesi dall’inizio della protesta del movimento Occupy Wall Street. Il clamore mediatico, che si stava sopendo, è stato rilanciato dal settimanale americano Time, che ha eletto il “Protester” a personaggio dell’anno. E intanto le proteste sono tutt’altro che cessate. Non voglio, qui, addentrarmi nel merito delle questioni sollevate: tuttavia credo che ci siano alcune lezioni che il mondo dell’economia e dell’imprenditoria dovrebbe apprendere.

La durata e la pervicacia della protesta sembrano indicare che le sue radici sono più profonde di quanto si potesse immaginare a prima vista. La composizione sociale del movimento è complessa, e include, tra gli altri, individui molto più arrabbiati che disagiati. È una rabbia che spesso stenta a tradursi in proposte concrete, ma che non per questo va presa meno sul serio. Anzi, ci si dovrebbe interrogare sul perché si sia creata tale confusione e lavorare per ridurla.

Per motivi simili, credo che le imprese non dovrebbero chiudere le proprie porte a movimenti come Occupy Wall Street. Attenzione: chi oggi protesta fa parte della società civile a pieno titolo, non ne è ai margini. Le voci arrabbiate che udiamo a New York e nel resto del mondo interpretano istanze che oggi appaiono talora confuse, ma che domani potrebbero divenire più chiare e condivise. Farsi trovarsi pronti in quel momento sarà fondamentale, ed è bene pensarci da subito.

È bene pensare alla lotta alla povertà come qualcosa che ci tocca direttamente. Le disuguaglianze che esistono nel mondo occidentale e tra culture diverse non sono un dato da accettare, ma l’oggetto di possibili battaglie future. Così come è bene premere sull’acceleratore del rispetto per l’ambiente e immaginare forme di sviluppo che garantiranno la sostenibilità della nostra crescita.

Insomma: le imprese che oggi hanno orecchie per chi protesta domani saranno interlocutrici privilegiate di una nuova fetta di società. Spaventarsi davanti alla veemenza di certi movimenti, o peggio ancora liquidarli con sufficienza aspettando che passino, sarebbe un errore.