Ascoltare i giovani? Un dovere

04/10/2012

Filosofia



Pochi giorni fa il movimento Occupy Wall Street ha compiuto un anno. In quei giorni ero impegnato nel lancio della campagna UNEMPLOYEE OF THE YEAR e torno ora sull’argomento.

Perché parlarne ancora? Perché, a mio modo di vedere, Occupy Wall Street (ne avevo già parlato qui) sarà considerato uno dei fenomeni chiave per comprendere questi anni. La protesta dei ragazzi di New York non è né eversiva né distruttiva. Le loro pratiche, anche di disobbedienza, sono state quasi sempre pacifiche. Hanno posto l’attenzione, in maniera radicale, sulle distorsioni di un sistema finanziario sregolato, e alcuni dei temi da loro affrontati sono ormai entrati a pieno titolo nell’agenda delle più alte istituzioni internazionali.

Insomma, Occupy Wall Street ha animato il dibattito degli ultimi mesi, proponendo diagnosi che in alcuni casi sarebbe difficile non condividere. Ma, soprattutto, questo movimento riflette, come in uno specchio, la società di questi anni. Da un lato c’è un capitalismo eccessivamente finanziarizzato che, senza adeguati freni e controlli, rischia di insidiare le strutture sociali e politiche di convivenza a livello globale; dall’altro c’è una fascia generazionale di persone (gli under 30) sulla quale è stato scaricato gran parte del rischio socialmente prodotto.

È questo, credo, il tema del decennio: quello di un’intera generazione che rischia di andare sprecata. Per la prima volta dal dopoguerra, nei paesi occidentali i giovani hanno perso la fiducia che la loro vita possa essere migliore di quella dei loro genitori. Faticano a trovare un accesso al mondo del lavoro e in futuro dovranno probabilmente pagare debiti (economici ma anche ambientali) che non sono stati loro a contrarre.

Con la campagna UNEMPLOYEE OF THE YEAR abbiamo voluto a nostro modo celebrare l’energia dei giovani non occupati che hanno voglia di mettersi in gioco, con creatività e intelligenza, nonostante le difficoltà. La protesta che è corsa per le strade nell’ultimo anno è forse un’altra espressione dello stesso desiderio di partecipazione, ed è importante trarre tutto ciò che di costruttivo ne può derivare. Ascoltare quello che i giovani hanno da dire non è soltanto un buon esercizio di democrazia. È un dovere cui non ci si può più sottrarre.